AlbaEbbi stanotte un carro rovesciato sull'erta dell'aurora da cui rotolavano a valli sacchi di grano sullo sfondo di un grande sole arancio. Il mulo s'era tirato in piedi sulle zampe e se ne andava a testa china zoppicando lungo la linea vivida del giorno.
Raccolgo
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DawnI had an upturned cart tonight On the ridge of dawn From which there rolled downhill Sacks of grain Against an orange sun, the mule Had pulled himself up on his hooves And went head bent limping Down the bright line of day.
I pick up
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Di notte Se fossi stata unicamente tua quale infelice animale avrebbe fatto incursione nei tuoi sogni disturbato i tuoi giorni azzannandoti alla nuca
l'inquieta faina
Se sul tuo collo
se prima di sera
senza possibilità d'errore Oxford, 19. 4. 2002
| At nightIf I had been yours alone what unhappy animal would have made incursions into your dreams disturbed your days sinking its fangs in the nape of your neck
the restless beech-marten
If on your cheek
if before evening
with no possibility of error
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Sulla poesia come vocazione
Vi sono periodi lunghi in cui mi sembra come se avessi ricevuto un specie d'ingiunzione a scrivere. In quei lassi di tempo, mi ritrovo intenta a comporre poesia su base quotidiana, con lo zelo di un rituale. Ma, al contempo, questo ritmo, questa alacrità m'appaiono come una forzatura, una sorta d'obbligo autoimposto. E' comprensibile che la persistenza di una percezione che adduca alla scrittura il carattere di lavoro e routine possa risultare opprimente, causando disillusione e spossatezza in chi un tempo abbia creduto nella poesia come vocazione. D'altro canto, se non avessi questo genere incertezze, quei rari giorni quando mi sento relativamente più ispirata avrebbero poco significato. Questa è la ragione per la quale paragono più volentieri i miei versi migliori ai giorni di festa, un'attitudine che riconosco essere quella di una suora veneziana del Cinquecento. Sto pensando a quelle vergini costrette a prendere i voti, che con maggiore eccitazione e impazienza, dunque, attendevano la frenesia delle festività.
In effetti, mi dico, lo scrivere qualcosa che mi soddisfi veramente accade con la stessa rara frequenza con cui prendo la comunione, vale a dire in media una volta all'anno. In quelle occasioni, scrivo poesie che non mi costano nessuno sforzo, come si accetta un regalo o un dolce di compelanno, dopo di che rimorso ed urgenza di digiuno mi assalgono per controbilanciare lo spreco di creatività e gioia pura. Scherzi a parte e tenendo conto del fatto che la vasta maggioranza delle poesie che ho scritto fin ora concerne, in modo diretto o camuffato, una religiosità sinistra e privata, rettificherò lievemente la suddetta dichiarazione: a prescindere dai toni scherzosi con cui ho descritto la pratica poetica, sia essa attività quotidiana o gestualità enfatica e celebratoria, il significato ultimo che essa ha per me resta nel fatto che veicola una sorta di aspettativa in qualcosa di là da venire, sempre da rivelarsi.
On poetry as vocation
There are long periods when it seems to me that I have received a kind of injunction to write poetry. In those laps of time, I find myself composing poems almost on a daily basis, with alacrity, as a ritual. Yet, I equally feel that this discipline has been forced on me. The persistence of this somewhat oppressive sensation of writing as labor and routine would be a source of disillusionment and fatigue for anybody who regards poetry as vocation.
If I did not have this impression, those rare days when I feel truly inspired would have little meaning. For these reasons I associate my best writing to feat-days, like any Renaissance nun would do. I am thinking of those virgins who had unwillingly taken the vows and who would therefore most impatiently await the feats for some true excitement. As a matter of fact, I write poetry that I feel completely content with as rarely as I take the communion: on average, once a year. In those occasions, I write without any effort poems which appear kind of celebratory gifts or meals, after which remorse and the need for fasting assail me to counterbalance the waste of creativity and pure joy.
Jokes apart, and considering the fact that the vast majority of the poems I have written deals with a disguised kind of religiosity, I am going to slightly rectify the above statement: beside any playful description of poetry either as a daily activity or a deed for holy days, the ultimate meaning of it for me relies in the very fact that it conveys a sort of expectation of something delayed, yet to be revealed.